Nella conviviale dedicata al tema “Il dono del Mais: dalla civiltà Maya alla cultura della polenta”, il relatore Paolo Valoti, esperto della Banca del Germoplasma dell’Unità di ricerca per la Maiscoltura di Bergamo, ci ha guidato in un viaggio tra le culture legate dal mais, cereale originario del centro America. Anche la Console del Messico in Italia Marisela Morales Ibañez ci avrebbe arricchito di conoscenze dirette e in lingua madre, ma impegni istituzionali non hanno permesso la sua presenza di persona.
Il tema delle civiltà del mais, già approfondito in una nostra conviviale rotariana nel 2015 presso la SAPS di Agnelli, nasce da una missione di lavoro in Messico, in occasione della settimana della cucina italiana nel mondo organizzata da Ambasciate, Consolati e Istituti italiani di Cultura nell’ultima decade di novembre 2016, e tra le quali l’Ambasciata d’Italia che aveva invitato il relatore Valoti per tenere a Città del Messico delle conferenze tra scienza e divulgazione sulle origini, specialità e qualità della polenta, una regina della tavola italiana. A partire dalle aiuole urbane con il mais tra i megagrattagieli di Città del Messico, con l’ausilio di fotografie, il cammino si è snodato tra i maggiori siti archeologici della civiltà millenaria dei Maya nello Yucatan come le incredibili città e piramidi di Uxmal, Chichen Itza, Coba e Tulum. Un passaggio obbligato di questo percorso tra culture, architetture e testimonianze intrecciate con il maiz, è stato il Museo nazionale di antropologia, il museo più importante del Messico e posto nel bosco di Chapultepec all’interno di Città del Messico, dove si trovano le maggiori collezioni del mondo di arte precolombiana delle culture Maya, Azteca, Olmeca, teotihuacana, Tolteca, Zapoteca e Mixteca. Dalla civiltà Maya alla megabiodiversità dei mais del Messico, con oltre 64 razze considerate native e tuttora coltivate con centinaia di varietà nei 32 Stati del Paese, è ancora oggi il cibo fondamentale e irrinunciabile della cucina tradizionale messicana, dichiarata ‘Patrimonio Immateriale dell’Umanità’ dall’UNESCO, con un consumo medio procapite anno di oltre 120 chilogrammi tra tortillas, tacos e altri cibi di mais, rispetto ai 4,5 chilogrammi di granoturco nella dieta degli italiani.
La diffusione del granoturco in Italia, come cereale adatto per l’alimentazione dell’uomo, ha seguito percorsi alterni con momenti di curiosità, espansione e sosta, nell’epoca della Serenissima Repubblica di Venezia (697-1797). In tempi di carestia la polenta rientrava fra i pochi alimenti, a volte l’unico piatto della dieta quotidiana dell’alimentazione rurale e popolare. Tra i documenti storici che raccontano il cammino del mais è stato citato il terzo volume “Delle navigationi et viaggi” raccolto da Giovanni Battista Ramusio (1565) che racconta della “La mirabile & famosa semenza detta maiz nell’indie occidentali, della quale si nutrice la metà del Mondo, i Portoghesi la chiamano miglio zaburro, di qual n’è già venuto in Italia di coloro bianco & rosso & sopra il polesene de rboigo, & valla bona seminano i campi intieri de ambedui i colori”. Villabona è l’attuale Villa d’Adige a Rovigo e viene considerata la prima culla italiana della polenta (1554).
L’Unità di ricerca per la Maiscoltura nasce nel 1920 come Stazione Sperimentale di Maiscoltura di Bergamo (SSM) con sede a Curno, grazie al contributo di diversi enti pubblici bergamaschi e istituzioni locali, sostenuta e potenziata nel tempo da enti e istituti nazionali e stranieri. Nell’atto costitutivo, con Regio Decreto del 7 marzo 1920 n° 327, all’Articolo 1 venne sancito che “E’ data facoltà al Governo del Re di fondare a Bergamo una Stazione Sperimentale di Maiscoltura autonoma con il concorso degli Enti Locali, da erigersi in ente morale sotto l’alta Vigilanza del Ministero per l’Agricoltura. Essa avrà per iscopo il miglioramento della coltivazione del granoturco, e potrà anche occuparsi di ricerche sul mais avariato, in rapporto alla applicazione delle disposizioni legislative contro la pellagra.” Fin dalla sua nascita la Stazione Sperimentale di Bergamo ha contribuito allo sviluppo tenace e incessante per la maiscoltura italiana e per la diffusione delle ‘sementi elette di mais’, con lo studio delle varietà autoctone coltivate, la costituzione e il miglioramento di varietà tradizionali di granoturco e di nuovi ibridi moderni per i diversi ambienti pedo-agro-climatici italiani. La coltivazione del mais o granoturco per la produzione di farina per polenta negli ultimi anni si sta registrando una forte riscoperta delle varietà locali italiane di mais. Prova ne sono i vari progetti di reintroduzione e valorizzazioni della biodiversità del mais avvianti dalla Banca del Germoplasma del mais, con una oltre 600 varietà locali tradizionali italiane e altre 5.000 accessioni, dell’Unità di Ricerca per la Maiscoltura di Bergamo, in collaborazione con enti ed istituzioni, associazioni di consumatori, organizzazioni di cittadinanza sostenibile.
Tra le nuove coltivazioni di mais autoctoni sono stati citati il Rostrato rosso di Rovetta, lo Spinato di Gandino, il Bianco perla, il Nostrano dell’Isola e il Nostrano Orobico, ai quali si aggiungono Scaglioli, Rostrati, Pignoletti, Cinquantini e Nostrani dei territori di lombardi e italiani: varietà locali di mais che stanno rilanciando la coltura e cultura del mais queste zone anche a livello turistico e di promozione del territorio, anche di montagna. Per le nostre genti, che vivono da secoli tra vallate e montagne orobiche, la polenta di farine di varietà antiche di mais, soda e grossolana, è un segno particolare e indelebile della identità dei bergamaschi. Nell’opera “Nova Novorum Novissima” del 1604 di Bartolomeo Bolla, celebre e sfuggente personaggio bergamasco, poeta, zanni e giullare giramondo, che fu a lungo in Germania, in Francia e in Inghilterra, e autore di alcune prose, in questa opera scrive in latino, e qui riportato con libera traduzione:
“Io, benché non grande filosofo, dal momento che sono nato e cresciuto in una valle dei Bergamaschi [n.t. valle Brembana], ove si apprezza di più il formaggio e la polenta che la filosofia, nella mia esperienza ho sempre trovato che coloro che vogliono essere sempre sapienti sono dei grandi stolti…”.
In pratica i primi passi della squisita polenta taragna orobica, oggi codificata dalla Camera di Commercio di Bergamo. Nel terzo millennio il rinnovato interesse verso la riscoperta della tipicità e della qualità delle produzioni alimentari e lo sviluppo sempre maggiore della conoscenza e della coscienza ecologica hanno stimolato l’attenzione per le varietà antiche e tradizionali di mais, sia per la produzione di farine per polente tipiche e di prodotti locali, che per la valorizzazione culturale, ecologica e economica del territorio in particolari aree geografiche. La calda e fumante polenta di granoturco torna oggi in vetta alla considerazione forse come non mai, perché ci porta sulle tavole delle città, tra cemento e palazzi, sapori, profumi e suoni di montagne e cime, di malghe e casere, rifugi e sentieri, di boschi e pascoli. La polenta di granoturco si conferma oggi una solida tradizione gastronomica, raffinata tipicità e gustosa prelibatezza che si trova nelle cucine delle famiglie, nelle mense aziendali e nei ristoranti ‘stellati’, ma anche nelle forme moderne di consumo take away. Peraltro, la farina gialla di mais non è solo polenta. La creatività di cuochi e artisti del gusto hanno trasformato questo ‘oro giallo’ in saporiti e nuovi prodotti da forno pane, pizze, torte, dolci, gelati e birre al granoturco.
Al termine della relazione di Paolo Valoti, socio onorario del Rotary Club Dalmine Centenario, il nostro presidente Giuseppe Pezzoli ha salutato Angela Abruzzese, presidente Inner Wheel Club Treviglio e dell’Adda.